Neruda e le infradito

 

 

Ciao Papo,
prima o poi riusciremo a raccontarci degli scorsi giorni così densi. Ho bisogno di dormire e riposarmi.
Ieri mi ha scritto una cara persona:
E’ da tanto tempo che volevo regalarti questa poesia di Neruda, in realtà sono le parole di un uomo alla sua donna ma penso che un Papo adulto avrebbe potuto dirle a te.
Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che desti la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud leva i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso o i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità d’allegria,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi in mia assenza come in una casa.
È una casa tanto grande l’assenza
che v’entrerai traverso i muri
e appenderai i quadri all’aria.
È una casa tanto trasparente l’assenza
che senza vita ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò un’altra volta.
E’ quello che tu stai facendo, la tua forza, i tuoi occhi e ciò che dici rispettano questo desiderio.
Papo, sono l’uomo cui tocca ogni giorno vivere la Poesia e la trasmette a questa realtà parziale di universo. Quanto mi sarei risparmiato tutto questo onore. Quanto avrei voluto che la nostra vita fosse semplice come quella di molte altre persone che i problemi se li inventano pur di vivere male. E io che cercavo solo disperatamente il modo di continuare a viverti. Ma mi hai detto che è il mio compito far sapere che non si muore veramente, si passa “solo” a vivere altrove.

Non conoscevi il Subbuteo e te l’eri inventato usando i Lego Duplo. Totta usa alcuni tuoi vestiti, ieri si sono rotte le tue infradito, le abbiamo buttate, il resto è tutto qui.

Papà

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