Va dove ti porta il caos

 

 

Ciao Papo,
oggi è il compleanno di Mamma, passa a darle un “Bacio Mmmua!” come solo Tu sai dare!
Da dove parto col foglio bianco?
Cercando chi sono ho trovato ‘sto testo “Va dove ti porta il caos” era marzo 2008, avevi poco meno di due anni.

“Buongiorno a chiunque mi legge, buongiorno al Caos. Buongiorno anche domani che è un altro giorno, perché quello che scrivo è il mio messaggio senza giorno, o per qualsiasi giorno. Un conto senza storno che oggi ho bisogno di pagarmi prima di suicidarmi e mettermi a tacere. Perché okay che il caos comanda ma prima o poi una scelta dovrò farla e una parte di me dovrò zittirla, in qualcosa dovrò pur trasformarmi, ecco suicidarmi in questo senso, non bramo zampilli arteriosi. Sono vegetariano, il sangue mi fa un po’ effetto.
E’ tempo di fermarsi un momento e riflettere. Ho 32 anni, 33 tra due mesi. Non sono ancora morto. Questa è una gran cosa! Sono papà da ventidue mesi. Quest’altra è ancora meglio! Vivo con la mia dolce metà con cui non sono sposato, perché non mi piace suggellar patti, da sei anni e un pezzo. Siamo intimi amici, altri direbbero fidanzati o robe simili da nove anni e un bel pezzo. Giusto qualche numero perché questa società basa tutto sui numeri, la statistica, la graduatoria. Come son messo? Sono avanti o indietro? Io non ci vado forte coi numeri, mi basta far girare quelli che mi servono per fare i conti della serva e tirare fino alla fine del mese. Giusto per dire che la felicità va vissuta. Giusto per dire che la felicità è condivisione. Piove, governo ladro!
Ho cominciato da settembre questa blog avventura con molto entusiasmo e molto impegno. Ma sono già stanco. Io sono un genio, come chiunque di voi, solo che c’è un esercito armato fino ai denti che si adopera notte tempo a dissuaderci dallo scoprirlo per venderci l’ultima cura, l’ultimo modello, l’ultimo ritrovato tecnologico. Che poi non va scoperto d’esser geni, è come siamo, come nasciamo, come restiamo fino al “Mio!” ed ai continui “No!”. E sono già stanco. Il genio si stanca, il genio ha bisogno di aria e spazio. Il genio non te lo dice nessuno ma te lo vendono tutti. Il talento te lo rubano per farci merce.
Per guadagnare il necessario per vivere devo lavorare cinque giorni su sette 8 ore al giorno. Niente di che, roba normale. Condizione geniale della nostra società evoluta! Per capire il necessario di quello che voglio scrivere dedico tutti i giorni 3 o 4 ore. La mia giornata è sveglia alle 6, subito al pc fino alle 8, di corsa a lavoro in bici. 8.30 sono a lavoro, per la verità arrivo sempre in ritardo, tiro dritto fino alle 12.30, pausa, schiscetta davanti al pc, e un’ora e mezza a scrivere, leggere e studiare. Alle 14.00 da capo lavoro, fino alle 18.00 che non arrivano mai. Bici, casa, finalmente casa. Finalmente la mia Piccola famigliola, finalmente.
Finalmente un cazzo! Sono indietro, la mia avventura è partita perché volevo trovarmi un modo etico di pubblicare quello che scrivo, le mie poesie, farle diventare canzoni, pubblicarmi i miei libri in cantiere, sono un formidabile scrittore in erba cipollina. Avventura cominciata per sottrarmi all’omologazione ed ai sistemi schiaccia personalità dell’industria. Ma caspita se è dura. Ho corso tre Maratone io, ho passato tre anni della mia vita a correre 6 giorni su 7. Ho tritato qualche paio di scarpe e corso circa 9.000 km. Io la fatica la conosco. Una disciplina quotidiana ferrea e piacevole, dettata dalla voglia di migliorarmi, di diventare più veloce, più permeabile alla fatica e al dolore, più resistente. Uno yoga in movimento che mi ha portato a conoscermi, ad entrarmi dentro e a farmi misurare coi miei limiti. A crescere, a perdere otto chilogrammi e a diventare la macchina sempre più precisa che dovevo diventare per coprire la distanza tra Sparta e Atene. Ho corso Milano, Helsinki e New York. Ho conquistato tre città io. Come un legionario mandato in battaglia. Per armi solo polmoni, gambe e testa, tanta testa se no quando sei al trentacinquesimo ed hai corso al limite della tua velocità ti fermi. E’ il limite fisico del glucosio nel sangue, e mancano ancora sette chilometri e centonovantacinque metri.
Io la fatica la conosco, per cinque anni tre volte alla settimana ho fatto l’apprendista Samurai e mi hanno dato la cintura nera. Io non la volevo perché non mi ci sentivo cintura nera. Bruce Lee è cintura nera. Io solo una scimmia. Ho reso il mio corpo duro e flessibile come bambù. La mia mente vuota, i riflessi agili. Ditemi cosa devo fare e io lo faccio. Divento tutto quel che volete io diventi. Datemi un lavoro, datemi un sogno. Datemi uno stipendio e faccio tutto quel che mi dite. Io la fatica la conosco. Sono cinque anni che mi alzo alle sei del mattino tutti i santi giorni ed invece di sputarmi in faccia non mi guardo nemmeno allo specchio e leggo, scrivo, modello il mio pensiero ed il mio modo di esprimerlo per rendermi comprensibile, piacevole, leggibile, interessante. Ho parlato varie volte col Dottor Fromm, col Dottor Freud, con padre De Mello, con Seneca, con Epicuro, con Yamamoto Tsunetomo, con Osho, con Krishnamurti, con Herman Hesse, con Antoine de Saint-Exupéry, con Silvano Agosti, con Stefano Benni, con Gianni Rodari, con Paulo Coelho, con Alessandro Baricco, con Daniel Pennac, con Leo Buscaglia, con Dario Fo, con Jacopo Fo, con Niccolò Ammanniti; io parlo con tutti, ditemi con chi devo parlare che io ci vado a parlare. Ditemi come si fa che io lo faccio, mica ho paura di provare io. Datemi un dio e ve lo prego finché non realizza il mio sogno.
Datemi un testo ed io lo leggo. Datemi una preghiera ed io la recito. Se qualcuno sa dirmi da che parte devo andare io ci vado, perché io non so più da che parte devo andare. Io non so più cosa sono, io non so più che parte devo interpretare. Io so solo che seduto non ci riesco più a stare. Sono stanco e stufo di stare a guardare. Io so solo che tutto è in piedi per una gigantesca menzogna, per una serie di gigantesche menzogne, per prima il denaro. Tutto è in piedi bello dritto e rigido per quel che per tutti è potere, ed io non so più cosa devo fare. Ho solo voglia di abbatterlo, di liberarmi, di liberarvi. Ma da ’ste parti sei libero solo se hai un botto di soldi. Ed io non so creare profitto perché come non voglio dipendere non voglio far dipendere. E’ mai possibile che nessuno arrivi a capire che la condivisione è un’altra cosa ed abbatte questo gigantesco mostro che impedisce di vivere e si nasconde nell’inflazione, nel mutuo, nel debito pubblico. E’ mai possibile che io sia ateo e creda nell’amore e negli uomini e tutti i credenti obbediscano al denaro ed al lavoro? E’ il loro dio a dirgli che è giusto? E’ il pegno da pagare per arrivare nell’alto dei cieli? Davvero nessuno si accorge di quello che stiamo combinando? Di quanto le nostre vite si impoveriscano? Di quante consolazioni abbiamo bisogno per andare avanti così? Cibo, fumo, calcio, alcol, sesso, droga… mercati con fatturati mondiali enormi, che non abbiano nulla da spartire con l’utilità, la felicità e la crescita umana, ma non importa, basta avere un PIL sempre più alto. Voglio partire, vendo la multipla a metano e compro un camper, voglio andarlo a vedere ’sto mondo perché sono sicuro che le persone non sono così tremende come la macchina che le ingoia, stessa macchina che ci informa. Voglio domandare a tutti quelli che incontro lungo il viaggio “Qual’è il problema? Hai soluzioni? Cosa è la felicità? Mi vuoi raccontare il tuo fatto straordinario?” voglio domandarlo a sei miliardi di persone. Stringergli la mano, mangiarci insieme, capire cosa mangiamo, come e perché, ma forse non posso: sono padre ho delle responsabilità. Devo garantire un futuro a mio figlio. Futuro che m’impedisce di vivere il presente. Voglio? Posso? “Fai, ti prego vivi, ma non starci più ad assillare!”. Le regole, rispetta le regole, poi sei libero di fare quel che ti pare. Ma cazzo, sono le regole che condizionano talmente il gioco da non poterlo giocare. E regole per tutelare dalla stronzaggine umana non ne esistono, anche l’acqua è un bene vendibile. Io sono perso. Angoscia. Fermo. Pensare. Forse la soluzione è proprio e solo ripartire da terra, acqua e legna, abbandonare lo spazio urbano a misura di macchina per tornare a vivere. Facendo e sapendo ciò che mangi, ciò che ti autoproduci, ciò cui ti dedichi perché è così che funziona la vita, non in cambio di uno stipendio. Ma anche la vita contadina è vista come fatica e rinuncia. Non voglio rinunciare a niente, voglio spontaneamente smettere di fare ciò che non serve fare, voglio riscoprire il gusto delle cose, farle per la loro importanza presente non perché mi porteranno profitto, riparo, protezione. Voglio fondare la casa degli uomini che cercano, sanno e s’impegnano. La costruirò con le mie mani e il mio sudore. Mio figlio sarà felice di questa scelta? E se a lui piacerà il sogno in cui crede il mondo sviluppato? Se lo educheremo alla consapevolezza e non al conformismo e ad ingoiare plastica e televisione forse capirà anche lui che questo mondo è troppo finto per essere vero. E comunque avrà sempre una casa in cui tornare e persone che lo staranno aspettando.
“Ma è così semplice, perché ti fai tutti ‘sti problemi, perché non abbracci un’ideologia e non ti lasci guidare. Fai quello che devi fare. Il fine giustifica i mezzi. E’ la stagione della semina, poi viene quella del raccolto”. Io non raccolgo mai. Io non mi sposo, io non riduco l’amore a un patto. Io ho una compagna con cui camminare. Io ho un’amica con cui condividere. Io equo, io solidale, sì verso il mio portafogli. Io etico, verso quale etica? Io, io, io e tu?
Tu cosa vuoi fare, mi sono mai fermato ad ascoltare? Sto pensando un Ecovillaggio con degli illuminati amici, tutta sostenibilità, condivisione e buon senso. Benedetti ragazzi, possibile che tutto intorno a dove vivo non capiscano che tutto quest’asfalto vada divelto, che non è vero il cemento armato, che mangiamo plastica, che respiriamo gli imballaggi bruciati di quel che mangiamo, ma come si fa, è troppo comodo il market!
Sono lanciato nell’attività lavorativa della piccola azienda familiare, tutto il contrario del ”mio” progetto di vita, una fottutissima fortuna non voluta, ma forse si può raddrizzare, basterebbe parlare. Ecologia è una nuova economia che non abbia come fine solamente il lucro ma la sostenibilità. E mio padre ci crede, fa il tifo per me adesso anche se in passato per paura m’ha sgambettato. Ci crede ma non può darmi una mano perché dopo quasi quarant’anni lui e il suo lavoro sono una cosa sola, è la sua vita, la sua realizzazione, il suo scopo, la sua missione. Mio padre è un piccolo eroe silenzioso, un piccolo imprenditore che ha preso un sacco di legnate sui denti nella vita ed ha sempre rischiato in prima persona, la sua casa, il suo presente, il suo futuro. Io non condivido che un essere umano possa sobbarcarsi così tanto impegno e stress, si deforma, si ammala, s’incazza e sbotta. Io stimo mio padre. Stimo la persona che da quarant’anni dà da mangiare a dieci famiglie. Ma io non lo seguirò, sono tredici anni che collaboro attivamente, tra uno screzio e l’altro, ho fatto e so fare quasi tutto, sono cresciuto nonostante i continui asti, fare, imparare, muovere mani e cervello. Costruire, tagliare, saldare, leggere un disegno, disegnarlo, autocad, controllare, certificare, qualità, iso 9001, riepilogo materiali, mappa delle saldature, tutte cose interessantissime per chi gli interessa (ma come fanno ad interessare?), molte delle quali invenzioni per creare occupazione, lavoro, stipendi, crescita economica, benessere. Tutte logiche industriali che rendono l’uomo macchina produttiva. E’ il sogno giusto? L’unico possibile? E allora perché non lo ripartiamo questo lavoro, perché non facciamo tutti part time in modo che si abbia tempo per organizzarsi la vita e non solo l’efficienza lavorativa? Quello che un tempo si faceva in giorni e giorni adesso si fa in pochi secondi con un click. Il progresso avrebbe dovuto portare benessere, al centro il miglioramento della vita dell’uomo e non le risorse economiche delle imprese. Se potessimo lavorare la metà del tempo la nostra produttività a dir poco si raddoppierebbe. Ditelo alla confindustria così che si faccia una risata. Saremmo più liberi e felici, avremmo meno bisogno di comprare, vendere, spostare. Saremmo più fraterni, pacifici, soddisfatti e rilassati, tutto ciò non serve, non è interessante non alimenta la crescita economica. Trovo tutto questo estremamente ingiusto anche perché questo finto benessere lo giochiamo sulle spalle di tre quarti di mondo che muore di fame, cui rubiamo a mani basse tutto. Trovo tutto questo profondamente ingiusto perché la continua estrazione di risorse dal sottosuolo e la continua produzione di merci che devono consumarsi il più in fretta possibile ha portato l’ecosistema al collasso. E’ ora che prenda la mia strada. E’ ora che mi stacchi. Perché mio padre come chiunque di noi campa se guadagna. E per guadagnare deve lottare con la concorrenza, deve produrre. E per produrre deve comprare materiali, consumare utensili. Che vengono assemblati estraendoli di continuo dalla terra. E realizza il suo prodotto nel quale vengono lavorati composti, basi, per prodotti chimici, farmaceutici ed alimentari. Coca cola, gomma del ponte, pomata per le rughe, cosa centrano con la vita dell’uomo? Eppure la realtà è talmente stravolta che chi ci lavora dentro vive bene. E la realizzazione di quasi tutti i giovani che conosco è macchina aziendale, telefonino aziendale, pc aziendale, stipendio da manager. Capacità e conoscenze lavorative basse, spigliatezza e faccia come il culo a tutta manetta! Ed il cerchio è chiuso. Grande Capo Nonno Augh, allatta tutta la tribù. Io voglio salvare mio padre ma non posso, perché lui come tutti ha paura ed ha una posizione da difendere, uno stipendio da portare a casa e allora è tempo che almeno mi salvi io. Perché con le parole le cose non si cambiano, solo con la costatazione dei fatti ci si rende conto di sbagliare, le parole a volte servono solo per smontare convinzioni e insinuare dubbi. Tutti quelli che mi gettano addosso le persone cui dico che così non va bene, che così non funziona. Tutti quelli che probabilmente io getto addosso a tutti quelli cui dico che così non va bene, che così non funziona. Dove cazzo mi sono andato a cacciare? Volevo solo fare il comico io, perché far ridere mi riesce bene! Ma anche quello è un lavoro duro, e la gioia dov’è?
Ma sono padre. Sono, si aspettano, mi aspettano. Cosa sono? Cosa vogliono? Cosa si aspettano? Perché tanta attesa? Io col fiato sul collo non ci so giocare, ho bisogno di spazio per fare prima tutti i miei ghirigori. “Sei infantile, smettila, la vita è un’altra cosa, impara a lottare”. E allora dammela una bella gomitata nello stomaco, vita. Perché per ora mi hai fatto solo sgambetti per proteggermi dalle mie scelte ed hai scelto i miei genitori per farmeli. Io sono pronto, io ti mordo il collo, vita.
Sono uno scrittore in erba cipollina, “E allora scrivi, cazzo perdi tempo con sto blog! Dov’è l’arte nello scrivere un blog?” Sono un aspirante comico, è da quando ho sedici anni che ho pronto il mio pezzo, “E che caspita aspetti per andare a presentarlo? Per salire su un palco?”. Sono un viaggiatore, no non un vacanziero, uno scopritore, un avventuriero “Sì tutto il giorno seduto al pc…” Sono solo un presuntuoso, sono solo un povero pirla che pensa di sapere come vivere ed invece non sa proprio niente. Perché non sono partito quando dovevo partire per il giro del mondo. Perché non ho fatto tutto quello che volevo fare quando lo dovevo fare. Perché sono sempre fermo al palo. Perché mi sembra di vivere per tutti tranne che per me stesso. Perché non faccio quel che mi serve e sto zitto. Perché non dimostro coi fatti e non con le parole. Questo mondo è per i concreti non per i sognatori farfalloni. Questo mondo è per chi ha i coglioni non per chi ha inventiva. “E poi tu non ne hai. Smettila di provarci, rassegnati. Ma dove devi andare, ma cosa devi fare? Casa tua e quella di fianco sono la stessa cosa. Tappati il naso se c’è puzza, lavora e non rompere il cazzo!”
Domattina a lavoro, altre otto ore, il giorno dopo ancora, quello dopo ancora, poi sabato e domenica per pensare a come organizzare la vita, ma sono già volate. Una settimana nuova, ancora otto ore. “E’ questa la vita, che ci vuoi fare. Vuoi rischiare? Impegnati di più, giocati tutto, dai la tua vita in cambio del successo, in cambio della realizzazione. Identificati, in qualcosa identificati. Cos’hai da lamentare? Sei libero di fare quel che ti pare. Di partire, di fuggire, di sparire, ma ti prego se decidi di restare vedi di fare, qualsiasi cosa ma falla.”
Ma che cazzo volete che faccia, so solo pensare alla carta straccia. So solo immaginarmi che metto insieme parole e diventano cambiamento perché prima o poi qualcuno o qualcosa le leggerà ed allora sarà la mia ora. La sua ora. Sarà arrivato il momento che servo finalmente a qualcosa. E se non arriverà mai? Guai? No. Va bene che non arrivi perché non si scrive per esser schiavi di quel che si pensa. Non ti meriterai mai di avere qualcosa se sarai così spudorato da cercarla. Ma cazzo io non cerco niente! Io dico solo che se ci mettiamo d’accordo facciamo tutto, abbattiamo tutto, siamo tutto!
Da qualche parte bisogna pur partire… Rilassa il buco del culo, è lì il problema. Il tuo buco del culo è troppo stretto. Rilassa e contrai. Da qualche parte parti. Rilassati, l’impresa è dura, la posta in gioco è alta. Serve una nuova specie, tutt’altra razza. “Guarda la semplicità nell’occhio di una ragazza. E’ solo quello ciò che vogliamo”. E allora che cazzo, datevi una mano! Ma perché mi avete chiamato a risolvervi tutti i problemi, io non vivo più! “Ma chi cazzo t’ha chiesto niente!!?” Ma se non vivete… “Ma chi te l’ha detto!!? A noi piace fare quello che facciamo. A noi piace darci la mano, sei tu il diverso, fatti curare, smettila di scassare. Noi abbiamo tutto anche di più, abbiamo Prodi e Berlusconi, abbiamo la tv, abbiamo la lavastoviglie, abbiamo il multisala, abbiamo la clinica, abbiamo il tapis roullant, abbiamo il navigatore satellitare, abbiamo il silicone, il botulino, le protesi, tu cos’hai? Cos’hai contro lo sviluppo, la scienza, lo stare bene?”.
Son partito senza denti, senza pensieri, solo succhiare, sopravvivere e respirare, ed è lì che torno. C’è troppo tutto intorno e troppo fa solo male, bisogna termovalorizzare tutto, compreso l’inutile che ci fa campare. Destra, sinistra, centro. Voglio partire, voglio conoscere le persone, voglio viverle, non mi basta farmi vivere da quello che scrivo. Le voglio ascoltare. Da qualche parte ci sarà la soluzione a che minchia dobbiamo fare. La so, la sai, ma a dirla son solo guai perché il problema è proprio vivere come viviamo. ”Da capo? Ma quando te ne vai? Vogliamo ridere! Divertirci! Hai rotto i coglioni!” Io non ho viaggiato e adesso non posso più partire, sono padre, ero figlio. Allora dovevo andare adesso è un casino camminare. La responsabilità, non sei solo, hai un’altra bocca da sfamare. Una video sorveglianza da comprare per tener lontano tutto quello che ti possono rubare.
Il figlio del mondo, io so che il mio piccolo è figlio del mondo, non è mio figlio. Troppi mio figlio lo hanno distrutto il mondo. E allora partirò e glielo farò incontrare il mondo. Gli lascerò il suo spazio nel mondo. Non farò sì che il mio mondo sia il suo mondo. Gli farò proposte, non imposizioni, lo aiuterò a camminare con le sue gambe, non gliele taglierò, non gli impedirò di camminare. Se sarà il caso mi farò da parte per lasciarlo andare, devo crescerlo meglio che posso, non devo condizionarlo. Già da se si farà condizionare perché è nella natura del bimbo essere conformista. Sarà un piacevole casino. Sarà un’avventura come un’altra, sarà un viaggio, quando diventerà un peso mi dovrò fermare perché starò sbagliando qualcosa. Un cerchio con in mezzo la vita e tutto che gli orbita intorno. Utopia per chi alla fine del mese deve pagare fornitori, mutuo, affitto, rate, cambiali.
“Partirai? Con un bimbo così piccolo?” Conoscerà un altro nonno dalla pelle nera che costruisce case con cacca di mucca ed è più felice di tutti i nonni bianchi perché sa di non sapere. E gli racconterà storie d’Africa. Storie di acqua, poca, sole e cielo, animali e uomini. Mangeremo con questo nonno la sua zuppa, non andremo in un villaggio turistico. Si vive meglio a casa nostra che nel villaggio turistico nella savana fatto a forma di casa nostra. Se per viaggiare devo spostarmi da casa mia a casa mia nella savana, allora è meglio un buon libro o un bel film, si viaggia meglio percepirò qualche gusto, qualche sapore e qualche odore diverso.
No, forse non partiamo, stiamo costruendo il nostro futuro. Sto pagandomi la pensione, di cosa camperò nella vecchiaia se non mi sistemo adesso che sono giovane. Lavorerò, continuerò a lavorare in un ufficio al riparo dalla pioggia, al riparo dalla vita. Sei matto a conoscerla!!? Magari ti piace così tanto che smetti d’essere un bravo bambino ubbidiente.
Cosa vuole “mio” figlio? Come mi vuole “mio” figlio? Lo so, vuole solo che stia con lui, senza regali, senza feste, senza giostre. Poi ci posso aggiungere tutto per ammazzare la noia che creo non sapendo inventare, ma lui vuole solo una cosa, stare insieme. Giocare, imparare, crescere.
Ma io devo scrivere il prossimo post! Aspetta piccolo domani giochiamo, domani sarà migliore, domani mi pagheranno per quello che faccio e allora avremo più tempo.
Domani interesserà quello che scrivo, domani sto a casa mezza giornata e faccio tutto quello che devo fare, aspettami piccolo. Domani, non ti preoccupare, dopo vedrai che… domani…
E domani sono ventuno mesi, e domani sono un altro e mio figlio? E il mio lavoro? E la mia ragazza? Domani non m’aspetta, domani va di corsa, ma io sono qui oggi e se continuo a vivere nel domani, non mi sto al passo, non so più cosa sono, chi sono. Me lo hanno dato un nuovo dio in cui credere?
Sono ogni pezzo di quello che sono stato.
Domani, forse, vado avanti…”.

Ansia, dubbi, paure, Crescere, “Dentro la paura, fuori l’avventura!” così ci hai insegnato e per 10 anni l’abbiamo colorato che meglio non si poteva in nostro foglio bianco! Da questo Inestimabile Tesoro riprendo a Colorare! Grazie!
Papà

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