Addizione e sottrazione

 

Ciao Papo,

scrivevo un paio di anni fa, dopo l’ennesima volta che scampavi la morte: “…quando tutte le tue certezze si sbricioleranno davanti al battito di un cuore, solo allora capirai di aver capito di non aver capito. E cercherai una nuova certezza finché un battito di ciglia sgretolerà anche questa. E avanti così finché non ti rassegnerai a smetterla di fare piani e godrai della nuova giornata ricevuta in dono! Grazie! Grazie! Grazie!”. Fino a quando tu eri qui con noi mi veniva facile e spontaneo realizzare la vita per il dono che ogni giorno ci faceva. Un dono, somma di emozioni e momenti; ma ora che non ci sei più, mi risulta davvero difficile continuare a vederla così, anche se c’è Totta che sprizza vitalità e amore per la vita da ogni cellula. Ora ho conosciuto troppo da vicino la morte che è sottrazione. Togliere e privare la vita. Di chi è la colpa? Tua che hai preso la bici e sei venuto in camper per fare la cacca? Dei nonni che non ti hanno seguito? Mia che ero al camper a stendere? Della mamma che è partita per tornare a lavorare il giorno prima? Ecco, una cosa in questa storia l’ho capita: non esiste colpa. Nella tua storia Papo non esiste proprio il concetto di colpa. Non c’è molto da dire, ad alcuni va di sfiga a molti va di culo. Poteva capitare a me, ma è capitato a te. Eri un prescelto? Era scritto nel tuo destino? Non lo so, so che questa storia, la tua storia, non ha fine. E nemmeno inizio. Questa storia scorre nei codici genetici. C’era prima che ci fossimo e ci sarà dopo che ce ne saremo andati. Questa storia scorre nella vita, nel suo fascino ma anche nella morte e nel mistero che la avvolge. A ognuno trarne ragioni e senso. La morte non è una cosa brutta, la morte è brutta in proporzione alla vita, perché la vita è somma e la morte è sottrazione. La morte è brutta perché è associata al concetto di fine, game over. Chiuso per sempre. No, non per ferie, non per la pausa pranzo. Per sempre. Sempre: chi lo sa cos’è sempre? Due interminabili ore di fila dal dottore sembrano “sempre”, ma non lo sono. Il concetto del “Sempre” è tanto vero quanto illusorio. La morte invece è semplice e schietta. La morte intesa come passaggio ad altro qualcosa che è oltre la vita terrena, non è affatto una cosa brutta. Il dolore è brutto, sentirsi dire “Condoglianze”, “Come stai?” e “Sopravvivere ad un figlio” è brutto. Essere ignoranti, gretti e meschini è brutto. Evolvere è bello. Si riuscisse a farlo non soffrendo sarebbe meglio, ma compassione e amore sono insiti nella sofferenza. E soffrire non è portare una croce per espiare colpe altrui, quelle sono cose da dei e semi dei; qui siamo nel mondo di quelli in carne e ossa – poi magari di là nell’Infinito si capisce anche quello; soffrire è guardarsi dentro fino in fondo e spalare tutta la merda che ti divora umore e pensieri e ritrovare amor proprio e amore per tutto ciò che hai intorno o almeno per quel poco per cui vale la pena continuare a vivere e fare un sorriso al dolore, dare un arrivederci alla morte, prendere per mano Totta e andare insieme al Lunapark.

 

Ciao ragazzo dell’Infinito, chissà su quanti begli alberi ti stai arrampicando!

Papà

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