“Come stai?”

 

Ciao Papo,

come stai? Lo chiedono anche a te che sei di là dall’altra parte dell’infinito? A me qualcuno imperterrito continua a domandarmelo, e io rispondo sempre: “Di merda, grazie!”. Cazzo di domande… Oh, oggi come hai sentito sono partito in tromba con le parolacce. Come ti piaceva sentirle dire nei film, così non ti piaceva affatto sentirle dire in casa. Però, ti ricordi le due volte che sei stato ricoverato in ospedale? Avevi il via libera e il “bonus parolacce” garantito per tutta la degenza.

Anche quest’ultima volta, la mamma, mentre carezzava il tuo bellissimo viso, mentre passava la sua mano tra i tuoi capelli con la compostezza che la eleva ad Essere Soprannaturale, ti incoraggiava a tornare da noi. Un profondo urlo pacato che più di ogni altra cosa, da questa parte dell’infinito, desiderava mettersi in contatto con la tua Anima, col tuo Spirito, con la tua sbalorditiva Forza, col tuo incosciente Coraggio. Quel mix di Energia vitale che hai sempre sfoderato nei momenti peggiori. Con tutto se stesso, quel sospiro materno entrava nel tuo orecchio, si incanalava alla tromba di Eustachio, penetrava nei tuoi tessuti, cercava nel fluire del sangue, si infilava nelle cellule, cercava disperatamente di prendere per mano la tua Anima e di riportarla nel tuo corpo. Ci ho provato anche io, ci hanno provato anche i nonni, la zia Palli, lo zio Frenk, lo zio Pallo e la zia Anto. Hanno cercato di farlo anche dottori e infermieri, tutti in lacrime per due giorni, una cosa che si vede di rado in ospedale, perché anche loro sono esseri umani e hanno una vita privata e non possono farsi carico di tutto il dolore altrui. Ma nel tuo caso sì. Tutte le persone che ti hanno anche solo sfiorato nell’arco del tuo breve passaggio terreno, sei riuscito ad emozionarle, o facendole ridere o commuovendole. È roba da pochi, son gesti scolpiti nella pietra solo da Piccoli Preziosi SuperEroi. Ci ha provato anche chi non era lì con te, pregando il dio che più gli si addice, ma tu Papo eri già andato via da un pezzo, stavi già giocando e divertendoti altrove. E hai fatto bene, perché quel corpo sofferente e ferito non era più il tuo scrigno magico. Ti ringraziamo ancora tanto perché lo hai lasciato lì con noi un paio di giorni, per farci abituare all’idea che te ne saresti andato. La mamma ti bisbigliava nell’orecchio che avresti potuto dire tutte le parolacce che volevi, che saremmo sempre stati sul divano ad ammazzarci di film, che la lasagna e i funghi li avremmo mangiati tutti i giorni. Io amerò per sempre e incondizionatamente la tua mamma; una bella signorina come lei, un’anima così nobile, non dovrebbe provare e sopportare tanto dolore e tanta sofferenza. Pensa che da quando sei andato via non facciamo nemmeno più i “Bisticcioni” tra di noi come ogni tanto capitava. Dicono che tutto questo che stiamo passando serve per far evolvere la tua e le nostre anime. A me vengono i fottoni di rabbia, mi si chiude la vena e sterminerei a mani nude tutti i coglioni a piede libero che si lamentano per qualsiasi minchiata, e non hanno la più pallida idea di cosa sia il dolore, la sofferenza e il distacco, peggio della mutilazione di un arto. L’unica soluzione è pensare, anzi Credere che non sia tutto qui. Non è tutto da questa parte dell’infinito e io ci Credo perché Credo in te, Papo. Un giorno ci rincontreremo, ma non so se ne avremo coscienza. Ti ricordi, Papo, quella verità sugli animali che vivono e fanno ciò che fanno perché è insito nel loro istinto? Quella bellissima realtà per la quale il falco mica si sente un gran figo durante le sue evoluzioni in volo, lo squalo non pensa a quanto è prepotentemente spaventoso mentre nuota, la tigre mica lo sa quanto è maestosa quando caccia? Solo lo fanno per quel qualcosa che passa di generazione in generazione, quel qualcosa che scava le montagne e muove le maree. Ecco, quel qualcosa che io non so spiegarmi per bene che cos’è è ciò in qui Credo fermamente. Tua mamma e tua sorellina sono così, come il falco, lo squalo, la tigre, le montagne e le maree. Vivono e basta. Perché sanno che arriverà il tempo in cui torneranno a stare abbracciate con te nel lettone, e questo lancinante distacco che ogni giorno, ogni attimo ed ogni secondo dobbiamo mandare giù, svanirà e si lenirà in un battito di ciglia.

Papo, cazzarola, anche oggi non sono riuscito a dirti quello che volevo proprio dirti, domani te lo dico per forza, se no per punizione mi schiaccio i tenerini tra lo stipite e la porta.

Ciao Grande, qui fuori sta piovendo, pioveva a dirotto anche dai miei occhi mentre ti scrivevo, chissà se eri tu che volevi farmi vedere che comunque sei sempre tu il più forte?

Papà

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