Era al pane che pensavo

 

Ciao Papo,
in questo periodo i genitori della tua classe vanno a fare colloqui per le scuole medie, io ti porto a parlare da Mondadori, Feltrinelli, Garzanti, Longanesi, De Agostini, Newton Compton, HarperCollins, tutti ti vogliono bene e tutti vogliono farti Volare. Se non è un Miracolo d’Amore questo di cosa stiamo parlando?
Papo, uso una metafora calcistica perché siamo in trattativa riservata con tutti. Il Real Madrid ci vuole a tutti i costi ma ho scoperto che a me piace di più l’Atletico Madrid e oggi si capisce se e quanto ci vuole il Barcellona e mentre il derby di Spagna impazza in zona Cesarini Bayern Monaco e Manchester United si buttano nella mischia.
Spesso ti chiedo se eri con me, con noi, mentre si era a fare qualcosa. Ieri ti sei fatto vedere come al tuo solito, prima ancora che ti cercassi. Stavo andando di corsa da un editore e che ti trovo per terra… la solita piumetta bianca… non le do peso inizialmente, sono in ritardo, sto cercando la strada, qualche passo e torno indietro a guardarla a guardarti. La piumetta è spoglia, spolpata, incollata a terra tra sporcizia e piscio di cane. Questo noto, non la raccolgo, non sta bene con tutte le altre penso. Salgo dall’editore, presento il nostro progetto, il nostro Sogno, la persona cordialmente mi dice la sua, arriverà un’offerta editoriale ed economica a breve ma non scatta la scintilla tra noi e questo editore. Papo, tu lo sapevi già prima? Per questo quella piumetta bianca così malconcia? Volevi confermarmi che quell’editore non è quello giusto!
Papo, ci leggono in tanti, quando poi decidiamo l’editore che fa meglio per noi mi dai il permesso di raccontare cosa avevi in mente sin dall’inizio? Io ci sono arrivato tardi a capire il tuo “Piano”, poteva pensarla solo un bambino di 10 anni una “Strategia” così folle e divertente! Riesci a stupirmi ancora anche se temporaneamente viviamo in dimensioni distanti, quanto sei Forte e Bello Papo!
Oggi però da questa parte dell’Infinito è una giornata greve, pesante, triste, opprimente, è la giornata in cui si è scelto di “Ricordare affinché non succeda mai più”. L’umanità ha deciso che è il Giorno della Memoria, è la ricorrenza internazionale che si celebra il 27 gennaio di ogni anno come giornata in commemorazione delle vittime dell’Olocausto.
 
Era al pane che pensavo,
quando mi hanno strappato tutto ciò che amavo.
Era al pane che pensavo,
quando il forno inghiottiva tutto quel che ero.
Era al pane che pensavo,
quando nemmeno più il suo odore sentivo.
Era al pane che pensavo,
quando non c’era più il “quando”.
Era al pane che pensavo,
quando ancora pensavo.
Perché pensare mi faceva paura.
Mi faceva paura accostarmi all’uomo,
se era questo quello che era in grado di fare.
L’uomo…
una briciola tra le dita che mi teneva in vita.
 
Qualche anno fa m’era venuto di scrivere questa poesia. Le poesie Papo non si spiegano. Le poesie non si capiscono. Le poesie sono stupore. Arte, frecce che trafiggono il cuore, lampi che spezzano il cielo, bagliori che illuminano la notte, ombra per chi l’ha persa. Potrei finire qui, ma mi va di approfondire il “si capiscono”, ed “il lasciano il tempo che trovano”, meglio una narrazione che ti prenda per mano e ti conduca dal principio alla fine piuttosto che una poesia? E allora ti regalo l’antefatto, anzi proprio il fatto. Avevo letto questo testo di Silvano Agosti:
 
E’ al cinema Crocera di Brescia che devo curare una delle tante proiezioni del film “Il pianeta azzurro”, di Franco Piavoli.
Un delicatissimo e geniale film capace di narrare l’epica delle stagioni e il mistero di un “sempre” ciclico che ogni anno ripete l’intera storia del pianeta Terra.
La sala è colma di ragazzi delle medie inferiori, invasi da una motilità che ricorda il mercurio, fatta di gesti stupendamente inutili.
Oggi è la giornata della memoria e ne parlo con un vecchietto che lavora al cinema da pensionato, dando una mano in cabina di proiezione.
“Il pianeta azzurro. Il film è bello, è puro. Le immagini di natura, l’assenza di parole, l’armonia degli animali imprigionati in un loro destino cieco, potrebbero suscitare in qualsiasi spettatore sentimenti di gioia.
Ma non in me.
Io da quegli anni non posso più provare gioia perché appena il sorriso nasce sulle labbra, riappaiono le immagini della mia esperienza ad Auschwitz.” Dice l’anziano proiezionista.
“Sei stato ad Auschwitz?”.
“Mi ci hanno portato. E ci sono rimasto a dialogare a tu per tu con la morte. Tre anni, due mesi, quindici giorni sei ore diciassette minuti e qualche secondo. Per mesi, dopo essere tornato ero ossessionato dal bisogno di riuscire a “ricostruire” il tempo esatto della mia interminabile morte. Perché lì eravamo comunque tutti morti, morti vaganti, morti immobili, morti inceneriti. Ci perdevamo nel lavoro e nel sonno cercando di non accorgerci che era impossibile dar retta a qualsiasi speranza di salvezza.”
“Però alla fine ci sei riuscito a salvarti.”
“Quando i russi sono arrivati ho sentito una donna che prima di morire ha mormorato ai soldati “Siete venuti a liberare la nostra libertà.”
Poi mi hanno chiesto se volevo bere e io ho chiesto l’ora, proprio come avevo fatto tre anni prima arrivando nei campi della morte.”
Il vecchietto sembra un personaggio da fiaba. Ha il volto buono e non si altera, neppure quando racconta che il suo lavoro consisteva nell’infilare centinaia di cadaveri al giorno all’interno dei forni crematori e spesso capitava che qualcuno fosse ancora vivo e lo doveva infilare lo stesso nel forno.
“In cambio, quando succedeva, la sera ci davano del pane”.
Ho dovuto farlo anche se si trattava di miei amici. Erano loro stessi che mi incoraggiavano in silenzio, con uno sguardo, quasi a dirmi che li aiutassi a condurre finalmente a termine lo strazio di una vita negata.”
I miei occhi si riempiono di lacrime. Il vecchio se ne accorge.
“Non ho pianto io che l’ho fatto. Non piangere neppure tu, ma ricorda, non dimenticare mai e cerca di capire perché tutto ciò è accaduto. Io in tanti anni non ci sono riuscito”.
“Ma cosa pensavi mentre spingevi un tuo amico ancora vivo nel forno crematorio?”.
“Pensavo al pane.”
 
Papo, è per questo che non ti abbiamo mai fatto vedere la seconda parte de “La vita è bella”. Se nella nostra storia non ci sono colpevoli ma solo una banale e fottuta “Casualità genetica” la storia dell’Olocausto è quella in cui il colpevole fa della sua folle azione omicida una scienza. Dove sono queste anime? Sia quelle buone che quelle cattive? C’è bene e male dove sei tu?
 
Come sempre ho domande che non hanno risposte nel mondo dei finiti, devo imparare a fidarmi delle piume bianche.
Papà

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2 Comments

  1. Federica ha detto:

    tante troppe volte non sappiamo il perché certe cose accadono, ma mi domando e se lo sapessimo che differenza farebbe ? Troveremmo forse pace in una spiegazione quand’anche fosse plausibile?
    Quando accadono cose belle, se siamo bravi, cerchiamo di goderne – quelle brutte non dovrebbero accadere e basta…..
    ti auguro di trovare tante belle piume bianche lungo il tuo cammino che ti segnino la strada e ti riportino il sorriso

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